di Paolo Virzì
Italia, 2016
Beatrice è bionda, ricchissima e
raffinata. Donatella è bruna, tatuata e povera. Cosa le unisce? Sono pazze!
O almeno “ritenute tali da alcune
perizie”. Chiuse in un centro riabilitativo nella campagna Toscana, stringono
un’amicizia fatta di contrasti e incomprensioni, di profonde differenze
d’estrazione sociale ed educazione ma solida. Al punto da fuggire insieme in
un’avventura rocambolesca che le porterà da una cittadina all’altra in cerca
della felicità.
Virzì ha fatto il salto, già da
qualche anno e sebbene i suoi film mantengano alcuni stralci di leggerezza,
ormai vanno a fondo e tagliano più di una lama affilata. “La pazza gioia”
condensa alcuni tra i temi più commoventi dell’essere umano: maternità,
depressione, solitudine, emarginazione e lo fa descrivendo un microcosmo alieno
ma regolato dalle stesse regole della società “reale”. La storia non è troppo
originale e i panorami sono noti ai suoi spettatori ma la precisione certosina
con la quale sono costruiti i personaggi, tutti, compresi le comparse e i camei
illustri come Anna Galiena e Marco Messeri, rendono questa pellicola una
piccola gioia per gli occhi e per l’anima che commuove profondamente e diverte.
Diverte la leggiadra follia di Beatrice, contessa mai dimentica del ruolo che
resta capricciosa e viziata anche tra le mura sudicie del centro, convinta che
la vera felicità sia nelle cose belle; commuove la solitudine di Donatella,
nata sfortunata che paga le scelte di pancia che ha fatto fino a quel momento e
se le porta scritte addosso e nel cuore. Entrambe però lucide ed intelligenti,
a dimostrare che a volte la follia passa per il troppo ragionare, per il
volersi opporre alle regole e il non voler accettare le cose per come vengono.
La loro fuga è una ribellione alle imposizioni ma anche un viaggio
nell’accettazione che non esiste altro luogo più sicuro ed accogliente di
quello in cui sono accolte come malate perché trattate con umanità piuttosto
che vivere nel mondo esterno dove sono state rifiutate d usate. La sottile
linea tra follia e intelligenza viscerale vacilla più d’una volta mostrandone i
lati più acuti ma anche lasciando intuire come forse, il vero assurdo sia nelle
convenzioni e nella rincorsa al soldo e al potere. Nessuno spiega perché ad un
certo punto s’impazzisca, quale sia l’interruttore spinto il quale non si torni
più indietro e se sia più confortante adagiarsi nel riconoscimento di
un’autorevole anormalità piuttosto che annaspare per dimostrare al mondo di
avere le carte in regola. E quando il mondo le rifiuta, loro se ne servono fino
in fondo.
Qualche forzatura nella
sceneggiatura, diverse citazioni illustri da “Thelma & Louise” a “Ragazze
interrotte” ma ad offuscare il tutto, l’eccellente prova d’attrice di Valeria
Bruni Tedeschi che se nell’aspetto ricorda la più splendente Eleonora Giorgi,
con la sua voce roca e il broncio accennato, domina la scena dal primo
all’ultimo fotogramma, esplodendo in una miriade di sfumature umane da Actor’s
Studio. Divertente, profonda, drammatica e lieve, perfetta. Come perfetta
spalla è Michela Ramazzotti, fedele al personaggio trucido, unico contraltare
per veicolare la vicenda.
Forse“Nessuno ha mai
trovato la felicità in un tramezzino”ma questo è un film che non può
essere perso.